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Immagine del redattoreRamon Testa

Qigong: tecnica o arte?

Spunti per una riflessione sul qigong di R. Testa #zhinengqigong #pangming #atteggiamento


Guernica Picasso
“Avete fatto voi questo orrore, maestro?”, chiese l’ufficiale nazista. "No, l’avete fatto voi”, rispose Picasso” Guernica, 26 aprile 1937

Mi ero ripromesso di tradurre un testo sulla forma di Wuyuan zhuang[1], metodo che stiamo studiando con gli allievi del III anno, e la mia mente ha trovato interessante la lettura di un principio cardine del Qigong enunciato, per l’ennesima volta, da Pang Ming. Questo mi dà la possibilità di parlare di un aspetto fondamentale della pratica, il principio arci-conosciuto e banale che dice che prima di poter praticare veramente il qigong è necessario impossessarsi del gesto tecnico, dei requisiti del movimento.


Questi requisiti parlano squisitamente della tecnica, ovvero di come il corpo deve eseguire un certo movimento o stare in una certa postura. Inoltre possono parlare anche di ciò che riguarda la mente e la respirazione.


Senza queste indicazioni riguardo a ciò che mente e corpo devono fare, la pratica del qigong, così come la pratica di qualsiasi altra cosa, non può avere nemmeno inizio.

Però, qui, nell’ottemperare ai requisiti della pratica, nel riprodurre fedelmente il gesto tecnico è anche dove iniziano i problemi se ci fermiamo a questo livello. L’intera pratica del qigong rischia di non decollare mai, di rimanere ai blocchi di partenza nell’eterno dubbio di non essersi conformati ai requisiti dell’esercizio abbastanza bene.


Negli anni di insegnamento ho notato questo “problema della tecnica” nella stragrande maggioranza delle persone con cui ho lavorato, e anche nella mia pratica personale si è presentato e ripresentato più volte.


Da cosa dipende?

Uso un esempio per provare a spiegarmi meglio. Tutti conoscono Picasso e il suo stile unico. Ma possiamo davvero pensare che per diventare un Picasso basti imparare a usare un pennello o conoscere i colori a olio? Ovviamente no, c’è qualcosa di più, qualcosa di intangibile. Questo “qualcosa in più” – il genio, l’autenticità – non è un elemento su cui possiamo agire direttamente; questo “essere Picasso in quanto Picasso” è una manifestazione spontanea che emerge quando vengono create le giuste condizioni. Non è qualcosa su cui noi possiamo lavorare direttamente; a noi basta poter lavorare sulle condizioni che permettono il manifestarsi di questo “qualcosa in più” (che forse è qualcosa in meno…). Ed è quindi un lavoro estremamente più semplice perché non abbiamo bisogno di essere qualcun altro o di imitare qualcun altro, ma possiamo limitarci a usare la tecnica per mettere in atto la nostra natura. Nella difficoltà quindi di essere Picasso (o come nel qigong accade, di avvicinarsi alla qualità di esecuzione dell’insegnante, del maestro), nella frustrazione di non poter essere Picasso ci ritroviamo ad agire su ciò che può diventare la leva sbagliata, ovvero: il perfezionamento infinito della tecnica o la ricerca estenuante del dettaglio: come possedere mille pennelli e mille colori (che nel qigong si traduce con conoscere tanti esercizi senza saperli veramente praticare). Questa è una manovra diversiva della mente che nel non riuscire a comprendere quale sia il punto focale trasferisce l’oggetto della sua attenzione su qualcosa che può gestire come la forma, l’apparenza, la quantità.


E qual è il punto focale della pratica del qigong quindi? Il punto focale è complesso perché non è riducibile a una formula che possa essere applicata con facilità alla pratica. Ma una volta compresa la possiamo riconoscere come qualcosa di estremamente facile e naturale. Con una parola potremmo dire che si tratta dell’atteggiamento che sta dietro l’esecuzione di ogni esercizio. Questo atteggiamento è ciò che permette all’esercizio, alla tecnica di produrre un risultato. Questo atteggiamento è dove confluiscono determinate conoscenze che rendono il gesto morbido e non contratto, la postura corretta senza tensione e la mente stabile e rilassata invece che contratta e in tensione.


Quando leggiamo un testo o guardiamo un video in cui si dice: pratica questo esercizio per 10, 30 o 100 giorni e vedrai il cambiamento non per forza si tratta di uno schema per abbindolarci, ma questo impegno quotidiano deve fare i conti con questo atteggiamento che a sua volta deve fare i conti con chi sono io in tutte le mie peculiarità, perché le conoscenze, le informazioni che mi dicono “come” praticare, invece di “cosa” praticare sono le stesse che nella vita quotidiana decidono come mi relaziono con gli altri, come gestisco i rapporti di lavoro, come affronto i problemi, come riesco a godere dei piaceri, etc.

Spesso gli allievi, soprattutto quelli nuovi, mi chiedono di essere preciso nelle consegne che riguardano la pratica a casa degli esercizi di qigong, ma io invece cerco di non essere troppo specifico, perché so che la risolutezza, la determinazione e la disciplina, se non abbiamo capito cosa è questo “atteggiamento” rischiano di essere un boomerang che in quattro e quattr’otto ci fa uscire dalla pratica del qigong.


[1] Metodo che lavora sul qi degli organi interni attraverso i suoni


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