Breve riflessione sullo sforzo nella pratica di qigong di R. Testa
L’uomo nella prosperità non comprende, è simile al bestiame da macello. Salmi 49:13
Il qigong, e il zhineng qigong non fa eccezione, è pieno di ammonimenti a praticare duramente, a non sottrarsi alla fatica e a compiere uno sforzo eroico. Questo sembra essere un atteggiamento, forse l’unico, per poter ottenere dei risultati, ma è anche il più temuto dai praticanti meno inclini al dolore e che vedono il qigong non certo come una pratica ascetica. Da parte mia come divulgatore del qigong c’è una certa ritrosia a riportare questo lato del qigong nelle traduzioni. Il motivo principale è che spesso, sia in passato come oggi, prevale l’atteggiamento di lavorare duramente sia nelle pratiche dinamiche che statiche senza però avere un barlume degli scopi di una tale pratica intensa e prolungata.
D’altra parte nella pratica prolungata e intensa si nascondono dei tesori che proprio dalle spiegazioni, dalla mente logica e concettuale si celano. La fiducia permette di incamminarsi sulla strada della pratica dura senza cadere nella trappola di trovare gratificazione nell’emulazione di "atti espiatori" e di automortificazione.
Pang Ming in un articolo parla della pratica dura in questi termini:
"Per praticare bene dobbiamo innanzitutto praticare duramente. Se pratichiamo duramente allora possiamo ottenere risultati. Se pratichiamo alla leggera alla fine prenderemo in giro solamente noi stessi. Nella pratica non si possono temere le avversità e non è possibile sperare che l’insegnante accorra sempre in aiuto inviando il qi. L’aiuto dell’insegnante richiede che il praticante abbia delle basi, ma se queste non ci sono allora non può dare alcun aiuto. In passato si diceva: “il Dao si può ricevere, ma non si può insegnare”. E anche se io volessi trasmettertelo o aiutarti forse non funzionerebbe perché per ottenere dei risultati bisogna praticare duramente e così deve fare anche l’insegnante. Il campo di qi non decide chi aiutare e chi aiuta, il punto chiave è se si è in grado di connettersi, di conservare il qi".
E allora per poter comprendere, per non essere come il bestiame da macello di cui i Salmi parlano, è necessario intraprendere la strada che non è fatta solo di cieli tersi, ma conosce anche giornate plumbee, certi che finalmente si potrà assaggiare il frutto della pratica che va oltre il dualismo di ciò che piace e ciò che non piace.
D'altra parte le parole di J. Krishnamurti ci dicono chiaramente quali siano i pericoli di un agire cieco seppur volitivo:
"Durante tutta la storia teologica i capi religiosi ci hanno assicurato che se
avessimo compiuto certi riti, ripetuto delle preghiere o mantra, se ci fossimo
adattati a certi schemi, avessimo soffocato i desideri, controllato i pensieri,
sublimato le passioni, frenato l’avidità e avessimo evitato di abbandonarci al
sesso, avremmo, dopo una sufficiente tortura della mente e del corpo, trovato
qualcosa che fosse al di là di questa vita insignificante. Ed è quanto milioni di
persone cosiddette religiose hanno fatto nei secoli, sia da soli, andandosene in
un deserto o sulle montagne o in una caverna o vagando di villaggio in
villaggio con una ciotola da mendicante, oppure in gruppo, riunendosi in
monasteri, costringendo le loro menti a conformarsi ad un modello stabilito. Ma
una mente torturata, una mente agitata, una mente che vuole sfuggire ad ogni
inquietudine, che ha rifiutato il mondo esteriore ed è stata resa ottusa dalla
disciplina e dal conformismo, una mente del genere, per quanto a lungo possa
cercare, nelle sue scoperte sarà sempre condizionata dalla propria
deformazione".
La disciplina in quest'ottica risulta un altro nascondiglio per l'ego, e diventa così un nuovo raffinato conformismo travestito da anti-conformismo. A questo proposito le parole di Confucio di auto-esaminarsi almeno tre volte ogni giorno sono più che sensate per ricontrollare la rotta presa ed evitare che la fretta sia cattiva consigliera.
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